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Obesità infantile e sarcopenia in età avanzata. Due ricerche UPO trovano soluzioni efficaci grazie a probiotici e ormone ghrelina
Le ricerche, coordinate da Flavia Prodam e Nicoletta Filigheddu, sono state presentate alla comunità scientifica durante ECE2020, il convegno internazionale che mette in rete l’endocrinologia del futuro.
Di Leonardo D'Amico
Data di pubblicazione
Due studi firmati da ricercatori dell’Università del Piemonte Orientale sono stati selezionati per essere posti all’attenzione di esperti di settore e dei media internazionali durante e-ECE 2020, l’evento che dal 5 al 9 settembre mette in rete i massimi studiosi nel campo dell’endocrinologia (European Congress of Endocrinology, sito Web). Entrambi gli studi, focalizzati rispettivamente su microbiota e aging, sono frutto dell’esperienza dei Dipartimenti di Eccellenza UPO di area medica, il DIMET (Dipartimento di Medicina traslazionale) e il DISS (Dipartimento di Scienze della salute).
Il primo studio, condotto da un team dell’UPO coordinato da Flavia Prodam, professore associato di Scienze tecniche dietetiche applicate del DISS, e in collaborazione con l’Università di Bologna, l’Università di Verona e Probiotical, si è concentrato sulla tematica “microbiota e cibo”. Il team ha dimostrato come i bambini affetti da obesità, sottoposti a terapia dietetica e all’assunzione dei probiotici Bifidobacterium breve BR03 e Bifidobacterium breve B632, abbiano perso più peso e, soprattutto, abbiano migliorato il grado di sensibilità all'insulina rispetto ai bambini trattati unicamente con la dieta. Questi risultati suggeriscono che questi integratori probiotici, in associazione a una dieta Mediterranea a contenuto calorico controllato, possono aiutare nella gestione dell’obesità e delle sue complicanze nella popolazione più giovane. Potrebbero, inoltre, aiutare nel ridurre i rischi futuri di salute, come le malattie cardiache e il diabete mellito.
«Il trattamento e la prevenzione dell’obesità – spiega la professoressa Flavia Prodam – sono una seria sfida per la salute pubblica globale, soprattutto nei bambini e negli adolescenti. I bifidobatteri sono un gruppo di batteri che fanno parte del microbiota naturale dell’intestino e che possono aiutare le funzioni del sistema immunitario, la prevenzione delle infezioni da altri batteri, come l’Escherichia coli. Durante la digestione dei carboidrati e delle fibre alimentari producono sostanze chiamate acidi grassi a catena corta, che svolgono un ruolo importante nella salute intestinale, nel metabolismo e nel controllo della fame. Un ridotto numero di bifidobatteri può influenzare l'assunzione di cibo, il dispendio energetico e il metabolismo del glucosio, risultando uno dei fattori coinvolti nell'obesità e nel rischio cardiovascolare. Studi precedenti nell’animale hanno suggerito che l'integrazione probiotica con Bifidobatteri potrebbe aiutare a ripristinare la composizione e la funzione del microbiota intestinale, con un ruolo sulla perdita di peso suggerendo ciò come un potenziale approccio di supporto per la gestione dell'obesità.»
I risultati dello studio targato UPO suggeriscono che l’integrazione con questi probiotici potrebbe modificare l’ambiente microbico intestinale e influenzare positivamente il metabolismo glicidico. Inoltre, la risposta ai probiotici è stata influenzata dalla “firma funzionale” della composizione del microbiota dei giovani pazienti analizzati, determinandone il miglioramento della sensibilità all’insulina, della circonferenza vita, del peso o della pressione. «Attualmente – continua la professoressa Prodam – i probiotici sono spesso somministrati a persone senza dati di evidenza adeguati. Questi risultati iniziano a dare prova dell’efficacia e della sicurezza di due ceppi probiotici nel trattamento dell'obesità in una popolazione più giovane e iniziano a suggerire una nutrizione e una integrazione di precisione.»
Il secondo studio, coordinato da Nicoletta Filigheddu, professore associato di Scienze tecniche mediche applicate, si focalizza sulla tematica aging. La perdita di massa e forza muscolare associata all’età è definita sarcopenia, sindrome che porta a un deterioramento delle condizioni di vita dell’anziano essendo associata a scarso equilibro, aumentato rischio di cadute e fratture, problemi motori e perdita di indipendenza. Secondo lo studio presentato a e-ECE 2020, l’ormone ghrelina potrebbe proteggere la popolazione anziana dalla perdita muscolare. Lo studio mostra come la somministrazione di una particolare forma dell’ormone in topi anziani aumenti la massa e la funzionalità muscolare, rappresentando una possibile nuova strategia di trattamento per patologie associate a perdita di massa muscolare.
«Ghrelina – spiega la professoressa Filigheddu – è un ormone circolante sia in forma acilata (AG) sia non acilata (UnAG). AG è coinvolto nella regolazione metabolica e il bilanciamento energetico attraverso la stimolazione dell’appetito e induzione di adiposità, mentre UnAG non ha tali effetti metabolici, pur condividendo con AG effetti protettivi nei confronti del muscolo mediati da un recettore sconosciuto. La riduzione dei livelli di ghrelina che si osserva durante l’invecchiamento potrebbe implicare un ruolo della carenza di questo ormone nello sviluppo della sarcopenia.» Il gruppo di ricercatori del DIMET ha studiato in particolare gli effetti di UnAG sull’invecchiamento e ha osservato come il trattamento di topi anziani con questo ormone determini il miglioramento della massa e funzionalità muscolare, senza nessuna modifica dell’appetito, peso corporeo e tessuto adiposo, suggerendo quindi come UnAG o suoi analoghi possano rappresentare dei possibili trattamenti terapeutici futuri per la sarcopenia. La ricerca, finanziata dalla Fondazione Cariplo e organica al progetto di eccellenza sull’invecchiamento del DIMET, è stata svolta in stretta collaborazione coi ricercatori del DISS UPO (Flavia Prodam), delle Università di Torino, Pavia, Roma “La Sapienza” e Pisa ed è stata recentemente pubblicata sulla rivista Aging (visualizza l’articolo).
Ultima modifica 26 Agosto 2022
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